venerdì 2 luglio 2010

Compagni che sbagliano

Sulla versione online de "Gli Altri - la sinistra quotidiana" è apparso un articolo, a firma Andrea Colombo, che parla delle condanne alle "Nuove BR", intitolato "105 anni per le nuove Br, ma nessuno sa quale reato abbiano commesso"

L'articolo è contestabile sotto molti punti di vista.

Traspare, da tutto il pezzo, il concetto, molto anni ‘70, della giustizia come “strumento di oppressione del proletariato”. Sembra che non abbia lasciato nessun segno Pasolini, quando diceva di stare con i poliziotti, perché i veri proletari erano (e sono, aggiungo io) loro.
Un concetto che pensavo - speravo - ormai superato. Invece, proprio in una fase di "ricostruzione" delle basi culturali di una nuova sinistra, è necessario ridiscuterlo.

L'impostazione, comunemente chiamata "garantista", si basa sull'assunto di fondo che la magistratura e le forze di polizia sono strumenti in mano alle classi economiche dominanti, "sovrastrutture" in senso marxiano del termine, che vengono utilizzati per opprimere la classe operaia.
I fautori di questa tesi dimenticano, però, che magistratura e polizia sono inserite in un contesto ben diverso rispetto a quello dell'800: lì c'era una effettiva coincidenza di interessi, data da molti fattori, quali l'estrazione sociale di magistrati e dirigenti di polizia, le minori garanzie di autonomia e, spesso, l'effettiva direzione dell'azione penale da parte di organi politici.

Ora, grazie alla costituzione del 1948, che ci ha consegnato un sistema di effettiva divisione tra i poteri e di amplie garanzie giuridiche per gli imputati, e grazie alla profonda "rivoluzione sociale" dataci dal boom economico e dalle lotte degli anni '60 e '70, che ha portato tanti "figli di operai" in magistratura e ai livelli dirigenziali statali, comprese le forze di polizia, l'assunto iniziale appare esattamente ribaltato: ora polizia e magistratura sono le più importati - a volte le uniche - garanzie che le classi meno abbienti hanno per difendersi dai soprusi delle classi economicamente dominanti.

Il passaggio sul 41bis lo trovo poi al limite dell’allucinante.
Premessa: il 41bis è l'articolo della legge sull'ordinamento penitenziario (L. 354/1975), approvato nel 1986, che definisce il regime di "carcere duro" per gli imputati di reati di mafia e terrorismo.
Nell'articolo si definisce “tortura” il carcere duro, ingenerando immagini alla Guantanamo di cappucci e cavi elettrici, quando invece si tratta essenzialmente di uno stretto isolamento, allo scopo di impedire ai mafiosi e ai terroristi di continuare a dirigere l’organizzazione dal carcere. E di trasformare così la pena in una salutare vacanza.
Sembra che ci siamo già dimenticati delle feste di compleanno di Cutolo nella palestra del carcere.

Le vere forme di tortura e di barbaria sono altre.
Un paese democratico e di diritto non può accettare quella forma, stavolta reale, di tortura quotidiana che è l’oppressione mafiosa su larga parte del territorio nazionale.
Un paese civile non può accettare che le persone muoiano per le loro idee. E non dobbiamo correre agli anni '70. Ma al 1999, con Massimo D'Antona. E al 2002, con Marco Biagi.
Si dimenticano le minacce a Pietro Ichino, giuslavorista e parlamentare PD, quando si dice che i nuovi brigatisti "sconteranno anni e anni di galera per aver dato vita a un’associazione inesistente". Talmente inesistente da aver già fatto morti.
Poi magari si festeggia la sentenza a Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Dimenticando che anche lui non ha mai compiuto "un ferimento, un sequestro, una rapina".

La sentenza di Dell'Utri è ovviamente sacrosanta, così come quella ai nuovi brigatisti, perchè collaborare con chi ammazza, rapina, sequestra, ha lo stesso disvalore morale di compiere quei reati in prima persona. E, spesso, solo le collaborazioni rendono possibili quei reati.

Perché non c'è organizzazione mafiosa o terroristica che può vivere senza una rete di collaboratori e conniventi, senza covi, senza informatori, senza protezioni.

Direi che non sono assolutamente queste le basi sul tema giustizia per rifondare una nuova sinistra.

Bisogna smetterla di usare il concetto di “garantismo” come modo di difendersi DAL processo anziché NEL processo. Che poi è quello che quotidianamente quello che fa Berlusconi.
A guardare bene non è così strana la sua posizione: il suo principale avvocato, Pecorella, affonda le sue radici nella sinistra extraparlamentare: proprio quella che, negli anni '70, predicava la giustizia del popolo e l'oppressione dei magistrati e dei poliziotti.

Alessandro Simeone

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